You are currently viewing Smettiamo di immaginare il futuro, iniziamo a crearlo

Smettiamo di immaginare il futuro, iniziamo a crearlo

L’evento “il futuro del Web3 e del Metaverso” è stato un’ottima occasione per affrontare alcuni temi caldi legati alla diffusione delle tecnologie Web 3.0 come blockchain, VR, AR, Nft e alle loro integrazione all’interno di uno o più metaversi. Una delle costanti nelle riflessioni è stata la frase: “queste tecnologie spesso offrono delle soluzioni a dei non problemi”. Ammetto che anch’io ho spesso usato questa espressione, ma le conversazioni di questi giorni mi hanno convinto che l’espressione è sbagliata.
Il tema non è il non problema che risolvono, ma che il paradigma con cui le guardiamo è sbagliato.
Per farmi capire faccio un piccolo passo indietro. Thomas Kuhn nel suo saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche, ci insegna che le vere rivoluzioni scientifiche, es la teoria della Relatività di Einstein, non avvengono per gradi o come naturale evoluzione, ma esplodono come delle radicali innovazioni, che fanno sì che il paradigma interpretativo precedente venga abbandonato e sia necessario applicare un nuovo paradigma per comprendere le nuove scoperte scientifiche.

Ora ci troviamo in un’analoga situazione nella riflessione sul futuro del Web 3.0: in molti si affannano a descrivere nuove ipotetiche applicazioni, per poi sconsolati dirsi che sono soluzioni a un non problema. Ma il punto è che si guarda al paradigma sbagliato. Pensiamo al Web 3.0 come a una naturale evoluzione del Web 2.0 e 1.0. Ma questo non aiuta a capire la radicale innovazione dell’uso del wallet o degli nft intesi come smart contracts e non come semplici collectibles. E in realtà chi di noi si occupava di digitale già negli anni ’90 ci è già passato quando spiegavamo l’utilità dell’email a un mondo pieno di fax e senza computer personali: l’email era una soluzione senza un problema. E attenzione, questo è un esempio perfetto perché aiuta a capire quanto il paradigma e l’ecosistema siano fondamentali per spiegare questo tipo di innovazione. Qualcuno con i capelli già grigi ricorderà che il vero boom dell’email si ebbe solo quando arrivò hotmail: il primo a rendere disponibile l’email su un sito web, quindi senza necessità di avere su un computer un programma di posta elettronica con un account personale. Questa sì fu una rivoluzione perché risolse il problema sistemico (non ho un mio pc, ma uso quello dell’ufficio, dell’internet point, del papà etc) e rese veramente possibile la creazione dell’effetto network. Ovvero prima l’email era una soluzione senza un problema perché se nessuno dei miei contatti ha l’email il mio account non ha valore e quindi non è un problema, o meglio il problema è così irrisolvibile che non è neanche degno di attenzione se non dal punto di vista teorico speculativo.
Ecco mi sto convincendo che tutte le illazioni o supposizioni su cosa sarà/come sarà sono chiacchiere inutili. La vera riflessione utile è sul paradigma e l’ecosistema necessario per abilitarlo e quali sono quindi i fattori che lo rendono possibile o meno (latenza delle connessioni? creazione di un ecosistema economico simile all’app-economy creata da Apple? interoperabilità delle blockchain? etc, etc). A quel punto ha senso ragionare sulle applicazioni perché discenderanno da e saranno coerenti con il paradigma/ecosistema.

Questa riflessione vale per qualunque innovazione tecnologica disruptive. Pochi sanno che la tecnologia del fax era disponibile molti anni prima della sua diffusione negli anni ’80, ma era molto costosa (nei giornali era diffusa la tecnologia per il tele invio delle foto, ma era appannaggio solo degli editori più ricchi che potevano permettersi costosi apparati elettronici). La sua vera diffusione è dovuta a un doppio fatto sistemico, la eccellenza nella miniaturizzazione nella elettronica raggiunta dai giapponesi negli anni ’80 (e il conseguente crollo dei costi dei componenti) e la scrittura ideografica giapponese che rendeva il fax la macchina perfetta per comunicare sia tra privati che tra aziende giapponesi (molto meglio del telex che obbliga a utilizzare un alfabeto non ideografico).
Morale della favola: i produttori di fax giapponesi guadagnarono così tanto dalla enorme diffusione del Fax in Giappone che poterono permettersi di vendere in perdita le stesse macchine nei mercati occidentali. Finché la penetrazione del fax anche in quei Paesi (USA, Europa, etc) raggiunse livelli sufficienti da permettere di avere economie di scala tali da rendere profittevoli anche quei mercati meno interessati inizialmente a tale tecnologia perché gli andava già bene il telex e il fax era una soluzione a un non problema. (Sul tema consiglio la lettura di un bel saggio di Nicola Nosengo “l’estinzione dei tecnosauri. Storie di tecnologie che non ce l’hanno fatta” ancora molto attuale e illuminante nonostante abbia quasi 20 anni).

Quindi, e torno al titolo di questo articolo, perché è importante iniziare a creare il futuro e non semplicemente a immaginarlo? Perché è nel momento in cui ci poniamo in un approccio operativo e non solo speculativo che iniziamo a farci le domande giuste: ovvero di quali condizioni sistemiche, di quali infrastrutture, hardware, software, regolamentazioni etc abbiamo bisogno perché queste nuove tecnologie così interessanti si sviluppino e contribuiscano a creare autentico valore per tutti e non solo a essere oggetto di titoloni senza profondità sui giornali e strumento di speculazione per poche cavallette.

La foto in apertura è un Power Glove esposto nell’ingresso del MEET Digital Culture Center di Milano, vero punto di riferimento per la cultura digitale in Italia, e un ottimo posto per ripercorrere la storia della tecnologia digitale.